Archivio | marzo 2012

Tabucchi e le tagliatelle

Da un po’ di tempo non cucino più questo piatto. Era un pezzo forte dei tempi dell’università, ora prediligo preparazioni più complesse. Trovai la ricetta in un romanzo di Antonio Tabucchi, pubblicato nel 2001 per Feltrinelli, dal titolo “Si sta facendo sempre più tardi”. Oggi ho deciso che le cucinerò per l’ultima volta, le tagliatelle alla Positano. Le preparerò all’inizio dell’estate, non appena le zucchine saranno mature, prima di ritirare la preparazione dal mio ricettario. Un riconoscimento strampalato per Tabucchi. Per il vuoto che lascia. Ritirerò la ricetta per sempre? O solamente per sette anni, come fece il Napoli con la maglia numero 10 di Maradona?  Non saprei.

Ma ecco come si preparano.

Si affettano le zucchine e le si friggono in olio di oliva, si mettono poi a raffreddare su carta. Si sbatte un uovo per ciascun commensale insieme con parmigiano e pepe. Si unisce all’uovo il fritto di zucchine. Si lessano le tagliatelle e le si scolano. Poi si butta tutto in una conca, pasta e condimento. Quindi ci si dà come degli ossessi con il cucchiaio di legno, mescolando onde evitare che le uova rassodino. Direi che bisogna bere un vino bianco molto secco, per prepararsi alla mescolata finale.

Buon appetito.

P.S. Non giurerei che il nome della ricetta sia corretto, né che la preparazione descritta nel romanzo sia uguale a quella che io ricordo. Ma credo che questa indeterminatezza non offenderebbe Tabucchi.

Elio Pagliarani

Ieri ci ha lasciato Elio Pagliarani. Lo ricordo con questo testo del 1953, grondante, come tutta la sua poesia, straordinaria umanità.

da Cronache e altre poesie
(1954)

[I goliardi delle serali in questa nebbia]

I goliardi delle serali in questa nebbia

hanno voglia di scherzare: non è ancora mezzanotte

e sono appena usciti da scuola

«Le cose nuove e belle

che ho appreso quest’anno» è l’ultimo tema da fare,

ma loro non si danno pensiero, vogliono sempre scherzare.

Perché il vigile non interviene, che cosa ci sta a fare?

È vero però che le voci son fioche e diverse, querule anche nel riso,

o gravi, o incerte, in formazione e in trasformazione,

disparate, discordi, in stridente contrasto accomunate

senza ragione senza necessità senza giustificazione,

ma come per il buio e il neon è la nebbia che abbraccia affratella assorbe inghiotte,

e fa il minestrone

e loro ci sguazzano dentro, sguaiati e contenti

– io attesto il miglior portamento dei due allievi sergenti,

il calvo in ispecie, che se capisce poco ha una forza di volontà

militare, e forse ha già preso il filobus.

Quanta pienezza di vita e ricchezza di esperienze!

di giorno il lavoro, la scuola di sera, di notte schiamazzi

(chi sa due lingue vive due vite)

di giorno il lavoro la scuola di sera, – non tutti la notte però fanno i compiti

e non imparano le poesie a memoria, di notte preferiscono fare schiamazzi,

nascondere il righello a una compagna

e non fanno i compiti

– ma non c’è nessuno che bigi la scuola

sono avari

tutti avari di già, e sanno che costa denari denari.

1953

Il ricatto

Appese al soffitto dell’aula bunker del tribunale di Evergreen ronzavano le pesanti pale dei ventilatori. L’umidità appiccicava quei quattro peli sulla zucca ovale dell’avvocato Whiteman che provava vanamente a ritagliarsi uno spazio adeguato in quell’assurdo dibattimento. Il Pubblico Ministero masticava sornione una gomma sbirciando nella scollatura della giornalista di mezza età in seconda fila. Il Giudice aveva serie difficoltà a trattenere i peti a causa di una zuppa di legumi e non vedeva l’ora di ritirarsi in Camera di consiglio. I due imputati, seduti di fianco a Whiteman, davano mostra di non capire un corno di ciò che gli capitava attorno. Del resto, che si poteva pretendere da uomini d’azione come quelli? Inoltre era giunta loro voce che quel giorno, indispettito dall’inefficacia dell’azione di quell’azzeccagarbugli da strapazzo che finora non aveva saputo far altro che farli passare da una cella all’altra, sarebbe sceso in campo (scusate l’espressione, ma è proprio a pennello!), dicevo sarebbe sceso in campo il gran capo in persona. Non avevano avuto anticipazioni su come avrebbe agito, se con un’azione fragorosa o con una trattativa segreta, certo è che i due, da gran guerrieri, avrebbero di gran lunga preferito un bel po’ di casino, in maniera da riuscire a menare le mani. Tra loro sussurravano: immagina il capobanda che fa irruzione qui in tribunale per portare a casa i suoi fedeli banditi. Una cosa mai vista. Con una pistola per zampa e una bomba a mano stretta tra i denti per la spoletta. Per il momento però non potevano che far guizzare i bicipiti sotto il tessuto grezzo delle divise che erano state fatte loro indossare e attendere.

Per ingannare il tempo uno dei due imputati, quello più esperto e, se è lecito, più profondo, iniziò una lunga riflessione. Tema: l’ironia della sorte. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbero finiti sotto accusa per una vicenda che non ci azzeccava nulla con le attività illecite della banda? Meglio, un po’ ci azzeccava, ma era un evento collaterale. Dopo anni di scorribande e razzie c’erano scappate delle lesioni, forse un morto o due. Ma quanti ne avevano provocati più o meno direttamente le loro attività e i loro traffici? Del resto, anni prima, anche la banda aveva subito perdite gravi a causa delle scorribande di altre bande più grosse e il gran capo per primo era stato zitto e buono. Mica aveva pensato a vendicarsi e, figurarsi, a reclamare giustizia.

Quando venne il momento, fu una delusione immensa. Ecco in sintesi il resoconto: un agente della postale, tutto scompigliato per la gran corsa, piombò nell’aula inciampando e cozzando contro un paio di sedili, prima di finire in ginocchio tra le cosce dell’addetta alla verbalizzazione che, nel frattempo, si era addormentata a bocca aperta sulle pagine del librone dei verbali, lasciando correre un filo di bava lungo la rilegatura. Il fracasso dovuto alla caduta e all’urlo della sventurata destò in pochi istanti tutti i presenti, tranne Whiteman che in quel momento era già sveglio, perché si stava con veemenza appellando al diritto del più forte. In un battibaleno il poliziotto si ricompose, ricacciando la camicia nelle braghe e scappellandosi con foga.

Vostro Onore! Vostro Onore! Disse. Guardi qui quello che ci è stato recapitato giù all’ufficio.

E giù a frugarsi furiosamente le tasche dei calzoni, quindi quelle della giacca, passando infine alla camicia.

Vuoi vedere, pensava con orrore, che per non perderla me la son ficcata nelle mutande ed è rimasta lì. Mo’ che faccio?

Per fortuna il giudice in persona gli venne in soccorso.

Sta cercando questa? Disse mostrando all’agente e alla sala una chiavetta USB, finita, a causa del capitombolo dell’agente, nel bicchiere di plastica pieno d’acqua dal quale aveva appena bevuto.

Sì, Vostro Onore. Proprio quella, contiene un video che, se mi è consentito, Vi consiglierei di guardare subito.

Il giudice invitò seccamente lo sbirro a tenere per sé i suoi consigli e un impiegato ad asciugare la chiavetta e ad allestire la proiezione.

Il faccione del capo si stampò sul telone alla destra del banco della Corte. Per quanto ossuto e scavato, il suo volto tremendo riempiva lo schermo. Parlava con voce metallica, a scatti. La banda chiedeva la liberazione immediata degli imputati. La banda aveva investito il frutto delle proprie scorribande nel paese, aveva aperto manifatture, botteghe e agenzie. Aveva anche creato una lega calcistica nella quale militavano i più famosi fuoriclasse, da Puzzon a Cacani. La banda diceva che se le sue richieste non fossero state esaudite tutto questo sarebbe finito. Centinaia di disoccupati, famiglie distrutte, fame, miseria. Si sarebbe tornati a scapoli contro ammogliati.

Come non detto

Da Repubblica.it

Un altro brusco risveglio per la scuola.

Nunc est bibendum

La notizia che i diecimila nuovi posti, tra insegnanti e tecnici, destinati a mantenere in piedi il nostro sistema scolastico, saranno finanziati con un innalzamento delle tasse sugli alcolici, apre nuove prospettive di impegno per genitori, docenti, studenti maggiorenni e, in generale, per tutti gli italiani di buona volontà. Diamoci dentro, aperitivi e shottini a gogò il contributo dei consumatori più trendy, bottiglioni da uno e mezzo quello delle famiglie. Dai nostri stravizi dipenderanno un maggior numero di ore di sostegno a ragazzi con bisogni educativi speciali, un aumento delle classi a tempo pieno, maggiori risorse per gli istituti. Bisogna attivarsi con i vicini, i parenti, gli amici. Convincerli che gli esami del sangue sballati sono indice di perfetta salute, che la patente ritirata è un buon modo di riscoprire la mobilità sostenibile sostenuta dalle zampe posteriori, che la zaffa d’alcol, specie al mattino, è cool.

Non riesco bene a spiegarmi, per quanto mi faccia piacere la notizia di un interessamento del governo dei professori alla nostra sfasciata scuola, come si possa ancorare un investimento, che dovrebbe essere strutturale, a un consumo. A un consumo, per di più, che andrebbe in linea di massima disincentivato da parte delle istituzioni, non solo per ragioni etiche, ma anche per puro tornaconto economico, dato che l’alcoolismo avrà pure dei costi per sanità e servizi. Perlomeno, non riesco bene a capire la necessità di questo nesso diretto, alcolici – posti di lavoro a scuola, ma in fondo non sono un economista. Non so bene cosa finanzino i tabacchi e il gioco. A questo punto presumo ospizi e asili nido. Viene da chiedersi cosa succederebbe nel nostro paese se crollassero i consumi suddetti.

Comuque, bando alle ciance. Si comincia. Via il tappo a una bottiglia di spumante per i diecimila neoassunti!

Un po’ troppo presto? Non devo dire gatto se non ce l’ho nel sacco? Io sono un sognatore: già immagino il finanziamento a università e ricerca con la legalizzazione delle droghe leggere.

Cin cin!

P.S. La scuola, il futuro del paese, non si costruisce né si tutela con iniziative estemporanee.

Storie di neutrini

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Quindi, alla fine, tutta la storia dei neutrini più veloci della luce che sfrecciano da Ginevra al Gran Sasso è smentita. Le particelle sparate del CERN hanno tradito i ricercatori. Meglio, ha tradito un cavo in fibra ottica difettoso. La scoperta sensazionale che ha fatto tremare la teoria di Einstein è, in pratica, un errore di misurazione. Di tutto ciò che si è sentito nei giorni dell’annuncio non rimane quasi nulla, se non la speranza  che ripetendo l’esperimento si giunga a una nuova scoperta. Insomma la fisica non è (ancora) rivoluzionata, non si può, per dirla con le parole di Roberto Petronzio, “cominciare a ragionare su una nuova scala” e tantomeno entrare “in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell’universo”. Per il mondo della ricerca italiano, così bistrattato dalla politica, è davvero un peccato.

Colpiscono, a posteriori, i toni sguaiatamente trionfalistici usati nei giorni della scoperta dai media italiani, ad annunciare l’ennesimo successo dell’italico genio. Celebrazioni a vanvera, senza che nessuno sentisse il bisogno di capire bene cosa si festeggiasse né di spiegarlo al pubblico. Come al solito, verrebbe da dire.

E immutata rimane la gaffe dell’ex ministro Gelmini: quel cenno al tunnel Ginevra-Gran Sasso in un comunicato stampa del ministero. Benché adesso lei, grossolanamente, se la rida, la figuraccia rimane immutata.