Archivio | giugno 2016

Sui giovani d’oggi

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L’ultima campanella dell’anno scolastico ha svuotato le classi e affollato i centri commerciali di studenti arruffati, che siedono schiena contro schiena nelle vie artificiali dello shopping forzoso, fissandosi con trepidazione i quattro o cinque pollici retroilluminati. Coppietta: “Amore…” fa lei, “ci facciamo un selfie con l’asta?” “Però lo facciamo con il tuo, stavolta, che il mio ha appena il 20%!” Quattro passi più avanti: due amiche tormentate dall’acne e dalla parrucchiera low-cost: “Ha fatto l’accesso cinque minuti fa, ma non ha visualizzato…” “Te l’ho detto che quello è uno stronzo. Io vado a prendere una pizza con le patatine.” “Ma non eri a dieta?” “Sì, ma adesso vado in palestra, guarda, ho fatto la foto di me sull’elliptical trainer” “Beh, allora? Sei lo stesso una cicciona!” Allungo il passo, qui sembra di essere a scuola, devo fuggire al più presto. Basta teens fino a settembre! Mio inesistente dio degli insegnanti flippati ti prego, levameli di torno, in cambio ti prometto una preghierina in terza rima. Arraffo un pranzo pronto della Coop, il romanzo di Gesuino Némus e fuori di qua. Boom, la botta di caldo post-aria condizionata, la macchina nera una gabbia incandescente, infilo i guanti per riuscire a toccare il volante. Via.

Piscina comunale, minimo sindacale di relax e frescura prima di ingaggiare liti furibonde agli scrutini. Acqua ghiacciata, ombrelloni liberi, musica tamarra soffusa, due bracciate a stile: lo sport è un ottimo alibi per correre subito a farsi una Corona bella fredda con la fettina di limone nel collo della bottiglia. Una bella sorsata e… orrore! Alunne. Di prima C. Galleggiano su salvagentoni gonfiabili gialli nella vasca dei bambini. Si spintonano, si scalciano, si urlano: “Mi bagni il telefono, troia!” Resisto all’istinto sedimentato negli anni che mi porterebbe a richiamarle: “Uhè! Vi dà di volta il cervello?” Mi vado a stendere al sole.

Sotto l’ombrellone alla mia destra c’è un brutto ceffo: brizzolato, occhiali, velo di barba delle cinque, dita affusolate che reggono un buon libro. Probabilmente un prof. Sbircio la copertina nascondendomi dietro la Corona: roba da intellettuali democratici, che mette alla berlina la borghesia schizofrenica newyorkese. Sicuramente un prof. A sinistra invece ci sono tre ragazzi. Almeno questi non sono alunni. Sembrano educati. Faranno il ginnasio. Se ne stanno in silenzio venti minuti. Poi uno si alza, sputa qualcosa per terra e propone: “Facciamo la gara a chi sputa gli smarties più lontano?” Un compagno si alza, si carica in bocca un po’ di confetti con una manata e inizia a soffiarli fuori con forza. Un tiro notevole, farà strada il giovanotto. “Oh, oh! Aspetta che faccio il video!” Urla il terzo agitando un iPhone.

Mi volto di nuovo verso destra: il tizio chiude il libro, sfila gli occhiali e li ripone con cura nel loro astuccio. Che uomo palloso. Mi guarda con aria complice. Mi fa: “Che generazione di inetti. Non combinano niente. Pensi un po’ quando andranno a votare, questi qui, cosa succederà.” “Perché noi, invece? Che cosa abbiamo combinato di bello? Che cosa è successo quando siamo andati a votare noi, eh? Niente, direi, per andarci leggero. Solo non lo abbiamo condiviso su facebook, il nostro niente.” Il tizio fa una smorfia di disgusto, mi guarda dall’alto in basso: “Ehi, ma che cazzo hai, sei malato? Non si può neanche parlare male dei giovani?”