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A casa loro

a_cheap_holiday_in_other_peoples_misery-e1501158513638.jpegMartino ha trentotto anni, anni in gran parte vissuti senza morale, senza appartenenze, come un cane randagio, senza patrie né dei, senza valori né punti di riferimento se non una fede cieca nel punk rock. Capirete bene come uno stile di vita siffatto, e per giunta protratto così a lungo, benché presenti un certo fascino sotto un profilo estetico, finisca per sfiancare anche il più convinto nichilista. Per questo motivo, complice questa estate eccezionalmente arida che favorisce riflessioni profonde, Martino ha deciso di imprimere una svolta secca alla sua vita: grandi ideali, sogni belli, ma anche pragmatismo, la voglia di incidere la scorza del mondo per cambiare davvero le cose in questa società. È presto detto, pensare bene e fare qualcosa di concreto per aiutare chi è in difficoltà.

Come prima cosa si è messo alla ricerca di una guida ideale, di qualcuno che incarnasse le urgenze morali del presente in maniera stabile, decisiva, che gli sapesse indicare con chiarezza cosa è giusto e cosa è sbagliato, non solo in assoluto, ché quello è facile, ma in ogni singolo contesto storico e geografico. Non è stato un percorso lungo. Martino ha trovato subito convincente il pensiero di un grande leader politico italiano, un uomo che pare davvero in grado di disegnare un mondo altro, finalmente libero e giusto: Matteo Renzi. Martino ha così riempito un gran sacco nero di CD graffiati, bombolette di vernice spray, borchie, t-shirt e vari indumenti strappati, quindi ha gettato tutto nel cassonetto sotto casa e si è recato in libreria per acquistare Avanti, ultima fatica letteraria di Renzi. L’opera, da poche settimane nelle librerie, si è già ritagliata uno spazio di tutto rispetto nell’ambito della trattatistica politica italiana: i critici più arditi l’hanno sottovoce affiancata ai capolavori cinquecenteschi del Machiavelli, del quale il nostro Matteo condivide non solo i natali, ma anche l’acutezza d’ingegno.

Studia e ristudia, in pochi giorni Martino si è convinto della bontà della strada intrapresa, ha deciso di passare all’azione ed è uscito di casa alla ricerca di qualcuno da aiutare, con una delle più intelligenti frasi di Matteo mandata a memoria e ripetuta nella testa come un mantra: Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro.

Gira e rigira succede che l’ex punk finisca a Riomaggiore, nelle Cinque Terre. Lì, avvicinatosi alla scogliera, vede come sia in corso una mareggiata. Il comune, per ragioni di sicurezza, ha disposto la chiusura degli accessi al mare, onde i flutti non ghermiscano turisti imprudenti. Su invito della vigilessa tutti i bagnanti si sono allontanati dalle rocce a picco sul mare, per rifugiarsi davanti a un piatto di spaghetti con i muscoli. Tutti tranne uno, cranio raso, occhiali da sole, pacchetto di Marlboro nel taschino. Sta seduto su un telo verde e scruta il mare indifferente ai richiami. “Guardi che deve venire via anche lei, per favore!” Insiste la donna. Lui si gira appena e le urla: “Perché non vai a rompere i coglioni agli zingari?” A quel punto Martino capisce di aver trovato finalmente qualcuno che sta male, qualcuno da aiutare: si avvicina all’uomo, gli allunga la mano: “Venga, dove alloggia? La accompagno a casa sua, non si preoccupi, sono qui per aiutarla davvero, a casa s…” Non fa a tempo a finire la frase che il tizio si alza e gli tira un pugno in faccia che lo fa barcollare e quasi precipitare in acqua.

Qualche giorno dopo sempre alla ricerca di bisognosi, Martino finisce in spiaggia, a Levanto. “Di nuovo al mare?” Si chiederà il lettore. Sì, sempre al mare: non ci sono studi specifici, ma pare che la villeggiatura tiri fuori il meglio degli italiani. Insomma, qui sente una signora redarguire il figlioletto, reo di aver avvicinato un ciottolo alla bocca: “Che schifo! Non mettere i sassi in bocca che ci pisciano i marocchini!” Martino drizza le antenne, qualcuno ha preso un colpo di sole, ha sicuramente bisogno di lui. Lì e subito, e lui c’è: “Signora, cos’ha detto? Non si sente bene? Ha bisogno di aiuto? Le vado a prendere una bottiglietta d’acqua e la accompagno subito a casa sua…” La donna lo guarda furiosa, le tremano leggermente le labbra: “Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!” Martino si allontana un po’ abbattuto. È tanto difficile, realizza, aiutare le persone a casa loro, nemmeno ci si lasciano accompagnare. È qualcosa che forse non fa per lui.

Rientrato a casa sua riflette su quanto impervia sia la strada per virare il mondo verso un destino a colori, questo mondo che, forse, non è in maniera alcuna emendabile. Infila il jack nella presa dell’ampli, imbraccia la vecchia Fender, alza il volume e pesta rabbioso i soliti accordi. Urla: “God save the queen, the fascist regime…”.

La mia squadra

l43-renzi-renzicalcio-131025022026_bigNon appena incoronato segretario da una moltitudine di elettori alla canna del gas, mi sono mosso per cercare uomini adatti a entrare nella segreteria e presentare così entro le 15 e 30 di oggi la Mia Squadra per cambiare. Nell’autonomia del mio incarico ho chiesto una mano a dodici collaboratori, sei donne, cinque uomini e un cane. Ma, bando alle ciance, veniamo ai nomi dei miei giocatori. Per accelerare il processo di rinnovamento ho scelto di stabilire gli uffici nella segreteria dell’Istituto Comprensivo sotto casa, già equipaggiati con telex e ciclostile e di ingaggiare in blocco le segretarie: Maria Rosa, che già si occupa di personale, al welfare, Anna Maria, l’economa, all’organizzazione, Maria Crocifissa alla giustizia e Maria Santissima agli enti locali. Quindi, sempre nell’ottica dell’ottimizzazione dei tempi, perché quando c’è da cambiare bisogna muoversi in fretta, mi sono infilato scarpini, pantaloncini e maglietta col 9 di Batistuta sulle spalle, e mi sono precipitato al NaturaSì. Lì avrei potuto fare un po’ di spesa e selezionare un altro paio di persone da schierare in mediana: economia e ambiente. Un uomo corpulento, giacca di panno così morbido da mettere voglia di tuffarcisi dentro ed elegante cappello di feltro a dargli l’aria da pensatore, spingeva un carrello stracolmo di confezioni di merendine alla barba di porro e farina di carrube con farcitura di marmellata di ficodindia, piccioli di melagrana e cioccolato. L’ho avvicinato subito: “Lei! Lei sì che fa girare il contante. Lei è l’uomo giusto per rilanciare i consumi!” E lui: “Ma lei, lei è… ma proprio lei! Non credo ai miei occhi, io l’ho votata ieri…” “E hai fatto bene, mo’ ti metto all’economia! Non hai mica una moglie, per caso, che abbia voglia di darci una mano, che sennò qui si torna all’inciucio?” Valuta la proposta per un istante: “Moglie no, però ho una mamma ancora arzilla.” “Una vecchia rimbambita? No grazie! Non va bene… La mia segreteria l’è la riscossa dei giovani, dei trent…quarant…cinqant…sessant… vabbè, la vecchia può andare all’ambiente.” La cassiera m’è sembrata una smart, una che, volendo, ti twitta con la destra e si strizza i punti neri con la sinistra : “Buonasera, ha la tessera? Grazie e arrivederci!” L’ho presa per il cartellino e l’ho nominata lì per lì: “Come ti relazioni bene, cara. Ti va un posto alla comunicazione?” Uscito di lì, per fare un po’ di quota azzurra, ho fatto visita a una stazione Esso. Il tipo dell’autolavaggio, che già si occupa di controllare che gli utenti si servano in maniera corretta di spazzole e aspiratori (e soprattutto che nessuno usi le lance self-service per lavare il motore), uomo di provato vigore morale, ha accettato di occuparsi di legalità e sud. Marione, quello che attacca lo spinotto del gas auto, ha accettato volentieri un incarico, a patto che si trattasse di riforme istituzionali, mentre Jalil, che da mesi sogna di trasferirsi in Germania, ha accettato di occuparsi di Europa e affari istituzionali: “Magari” ha detto spalancando gli occhietti fessurizzati dall’hashish: “Una qualche volta mi mandate all’estero!” All’Istruzione ci ho messo quel vecchio brontolone di Emiliano B, vecchio professore un po’ andato e su d’età, ma che almeno scrive un blog, come Lina, la blogger tunisina che insieme a Nelson Mandela costituisce il mio punto di riferimento politico. Infine la Chicca, il cane di Emiliano, come portavoce. Una che ha il mio stile, come dire spiccio e ficcante, nell’eloquio. Una che scende in campo e ha sempre voglia di correre dietro alle palline, voglia di fare insomma. Che magari funziona, politicamente, anche da contraltare a quel Dudù che il mio avversario schiera centravanti.

Alle 6 e trentacinque circa.

“No, perché vedi, Emiliano carissimo,” fa il filosofo della corriera: “La tua Seicento, i tuoi vent’anni e la ragazza che tu sai, mica te li dà indietro nessuno. Al limite, se proprio proprio, oggi come oggi, ti ridanno indietro Forza Italia.” Scarta una Golia e la succhia piano, aspettando una reazione. Per conto mio lascio correre lo sguardo fuori dal vetro, nella bruma gelata di val Taro che il bus taglia a metà. Intorno a me un’umanità dolente si trascina in fabbrica, schiera ordinata di spalle curve e visi segnati dalla fatica del lavoro, file di occhi pestati dal sonno. Android va per la maggiore, sui dispositivi che illuminano la penombra del mattino presto, non siamo sul Frecciarossa: chi, come Opportune, tenta di agganciarsi a qualcuno lontanissimo con skype, inutilmente; chi sogna di cambiare classe sociale, almeno in apparenza, vagliando le offerte su autoscout24; chi si cava gli occhi con le quote di qualche betqualcosa per la prossima tornata di campionato. “Già, solo Forza Italia ti può tornare indietro, oggi come oggi.” Una donna dell’est consulta il cellulare, poi se lo ricaccia in tasca e scoppia a piangere, in silenzio, con gli occhi aperti e la testa alta: le lacrime scorrono composte e si spengono sul colletto della camicia di raso. Erald, il meccanico, digerisce una cena pesante e il cruccio di una figlia che vuol fare di testa sua, ripete: “Ha diciott’anni, ma fin che vive in casa mi deve pur ascoltare, no? Tu che fai il maestro, Emiliano, cosa dici?” Cosa vuole che gli dica? Certamente non vuole che gli dica di godersela, questa giovane ribelle, dagli occhi azzurri, ché manco lei gli ridaranno indietro più, a un certo punto. E nemmeno che al massimo, se gli fregherà qualcosa, potrà riavere Forza Italia, un domani. “Non tornerà nulla indietro, Emiliano” sentenzia il filosofo: “Anche se uno scegliesse di accontentarsi di poco, che ne so, del sapore di un bacio smarrito chissà dove o di un solo sabato pomeriggio di sogni e di sbronze e di fughe. Anche se a uno bastasse un nulla, così è: solo Forza Italia.” Ha ragione, certo, da vendere. Mica torna l’ebbrezza di leggere la prima volta i Fiori del male, di schiacciare play e sparare Smells like teen spirit a un volume tale, nelle cuffiette, da diventare biondi. Torna lui con il discorso fiume e il solito sorriso, invece; torna, come sottolinea giustamente il pensatore dell’autobus, Forza Italia. E, aggiungo io, visto che il filosofo è del pd e fa finta di niente, torna anche De Mita (nella variante con accento toscano e faccia da schiaffi).

Bene così, del resto. Perché le cose belle non sarebbero così uniche. “E tu cosa vorresti indietro, invece?” Fa il filosofo. “Non lo so. Forse niente. Forse, per la sua vita da vivere e per i sogni della mia generazione, un ragazzo di vent’anni, abbattuto con un colpo di pistola in faccia, in piazza Alimonda.”

Mondi a testa in giù

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.
(A. Gramsci)

Non esistono in città studenti fuorisede che, almeno una volta, non si siano prestati a fare da assaggiatori per il locale stabilimento della più importante industria alimentare del Paese. Si viene convocati presso gli uffici dell’azienda in una data e a un’ora prefissata e si viene dirottati in una sala dove vengono somministrati prodotti da recensire, poi, tramite un questionario. Si può essere, per esempio, selezionati per tastare la fragranza del biscotto ai cereali e allora tocca mangiarne due campioni: uno, si scopre successivamente, appena scartato e un altro vecchio, magari della settimana prima o del mese prima. “Qual è quello fresco? Quello fragrante e profumato o quello stopposo e ammuffito?” Chiede il questionario. Si crocettano le risposte del caso e quindi si torna a casa, dove si attende con fiducia il pacco premio che ricompensa gli assaggiatori: si tratta di uno scatolone contenente qualche chilo di pasta (di solito quella delle misure più assurde), merendine (quelle spugnose alla carota che non piacciono nemmeno al cane), sughi (al sapore di fabbrica). È un’esperienza tutto sommato interessante e, cosa non di poco conto quando si è studenti squattrinati, riempie la dispensa.

Stamane, scodellando per il cane una scatoletta di paté al tonno, mi sono accorto di un piccolo logo, posto su un angolo della stagnola: cruelty-free, non testato su animali. È per questo che mi sono ricordato degli universitari assaggiatori. Ho riflettuto infatti sul fatto che, se non sono gli animali a provare le scatolette per cani, devono per forza farlo degli umani. Quindi esisterà, da qualche parte, un salone dove a gruppi di ragazzotti vengono servite porzioni di mangime accompagnate da questionari: “quale paté proviene dal barattolo aperto la settimana scorsa?” A pensarci si tratta di una cosa davvero incredibile, ma non può essere altrimenti, a meno che non esistano macchinari creati appositamente per testare il cibo per animali. L’immagine di un giovanotto che azzanna un boccone di manzo ai piselli per cani, tutto composto e con un largo tovagliolo infilzato nel colletto della camicia a proteggerlo dagli schizzi di gelatina, trasmette l’idea che ci siano mondi costruiti all’incontrario, a testa in giù.

Ci sono situazioni che paiono tanto assurde da risultare quasi incredibili, ma che tuttavia esistono e non sono poi meno reali di quelle che ci risultano familiari. Questa dei degustatori di mangimi è una, ma ve ne sono innumerevoli. Un’altra, per esempio, la ritroviamo sulla rinomata spiaggia di Forte dei Marmi. In questo periodo di caldo eccezionale, i venditori ambulanti erano soliti riposarsi in un’area dell’arenile posta sotto un pontile, una risicata zona d’ombra vitale per questi infaticabili camminatori. I bagnanti del Forte, che con tutta evidenza amano comprare il tarocco, ma non gradiscono la vista di capannelli di venditori sfiancati dalla fatica che si riprendono all’ombra del pontile, si sono però lagnati con il Comune, che ha subito provveduto a impedire con una recinzione l’accesso all’ombra. Ecco: esiste un mondo all’incontrario dove a un uomo schiantato dal sole viene negato il ristoro di un po’ d’ombra. Ed è un mondo d’eccellenza, dicono. Il sindaco PD Buratti anticipa eventuali critiche con un piagnucolio: “la rete serve per garantire il decoro“. Come se i poveri non fossero decorosi. Non sa, Buratti, che i poveri sono decorosissimi? Che è la povertà ad essere indecente, ed è quest’ultima che va combattuta, non gli affamati? E ancora: “… il provvedimento non è nella maniera più assoluta indirizzato a lasciare sotto il sole cocente gli extracomunitari che vogliono riposarsi. Se così fosse, dovremmo allestire mense a cielo aperto o dormitori in spazi ombreggiati e consentire ogni genere di comportamento, fra i quali potrei citare a mo’ di esempio, l’imbrattamento dei muri, per dar sfogo alla libertà creativa di qualcuno.”
Già, come se imbrattare i muri e cercare riposo all’ombra fossero la stessa cosa.

A dar man forte al sindaco anche il deputato democratico Gelli, che sentenzia: “Una realtà di eccellenza come la Versilia che vive innanzitutto di turismo non può permettersi di trascurare le proprie spiagge”. Bisognerebbe ricordare a Gelli come in una realtà di eccellenza non esistano uomini lasciati a stramazzare di fatica e di caldo. Non si tratta di buonismo, si tratta di senso di appartenenza al genere umano. Le reti del Forte sono come le panchine nei parchi della Treviso di Gentilini, levate per evitare che ci si siedano i migranti. Sono come le parole di Calderoli, sfacciate e razziste. Quindi, cari amministratori che negate l’ombra agli africani, e cari esponenti del Partito Democratico che vi guardate bene dal prendere posizione, non denunciate il razzismo altrui se per primi lo praticate. Non basta che vi diciate democratici, o che vi facciate schermo di futili motivazioni da realpolitik paesana, annaspando per distinguervi dagli xenofobi padani. Non fate che pena.

Governo

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Hukum Chand è un personaggio di Quel treno per il Pakistan, romanzo fondamentale di Khushwant Singh, uscito nel 1956 e pubblicato in italiano da Marsilio negli anni novanta, sulla partizione dell’India e sui conflitti etnico religiosi che ne sono seguiti. Magistrato e vicecommissario di distretto, Chand giunge nel villaggio rurale di Mano Majra, un angolo di Punjab dimenticato dalla storia dove sikh e musulmani ancora non si sono accorti di doversi scannare a vicenda. Un viceispettore di polizia e qualche agente si occupano dell’accoglienza dell’ospite di riguardo, predisponendo al meglio i locali destinati al suo soggiorno e procurandogli delicate pietanze, liquori d’importazione e ogni sorta di lusso impensabile in quel territorio così povero. La notte il magistrato si ritrova tra le grinfie una giovanissima prostituta, solo una bambina e neppure molto graziosa: era solo giovane e intatta. I seni riempivano a stento il corpetto. […] Il potente funzionario inizialmente esita, dinnanzi a una ragazzina così giovane, ma infine cede, supportato dalla convinzione che la vita sia troppo breve per potersi permettere una coscienza. […] Il pensiero che quella ragazza poteva essere più giovane di sua figlia sfiorò la mente del magistrato. Soffocò quel sospetto con un altro whisky. Così era la vita. La prendevi come veniva, scevra di tutti gli stolti valori e le convenzioni che meritavano solo consensi verbali. La fanciulla, benché annebbiata dal betel, mostra qualche ritrosia quando quell’uomo grasso, sudato e ubriaco la attira a sé, e si gira verso una vecchia sdentata che l’accompagna in cerca di un sostegno. La donna la spinge verso il magistrato che allunga una banconota davanti a sé e la incoraggia: “Va’, è il governo che ti chiama.” Lei si volta di nuovo indietro e di nuovo si sente sospingere: “È il governo che ti parla. Perché non gli rispondi?” Ma la giovane è impacciata e allora tocca alla vecchia blandire l’uomo: “Governo, la ragazza è giovane e molto timida, ma imparerà.” Governo non ha in effetti bisogno di altre parole per convincersi a pazientare un attimo, pur di approfittare dell’adolescente.

Emerge con nitidezza, in queste pagine di Singh, la descrizione della sostanza speciale e caratteristica di cui è fatto il potere: un vuoto assoluto di valori, un materiale nauseabondo e viscido che ha facoltà di assumere diverse forme. Credo sia per questo che stamattina, mentre alla radio sentivo che qualcuno proponeva di parlare con la Lega per fare il governo, di parlare con Alfano per fare il governo, di parlare con il diavolo pur di fare il governo, mi è tornata alla mente la bambina violata da Governo in Quel treno per il Pakistan.