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Lo strappo nel cielo di carta del presepe di Menate

– Ora senta un po’, che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? – Non saprei, – risposi, stringendomi nelle spalle. – Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo. […] gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto.
(Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal)

98a2f79bb493625f1b54af34e33a3e8aNel suo genere, è un piccolo capolavoro. Statuine di pregevole fattura artigiana, un territorio che seppure, come ovvio, in miniatura, fa bella mostra di un profilo orografico gradevole e sorprendente. Il presepe preparato dalla sezione locale della Lega, qui a Menate sull’Oglio, è come sempre un gioiello. A maggior ragione quest’anno, vista l’annunciata visita del carismatico Segretario federale. La cura del dettaglio è il principio ispiratore degli allestitori, che hanno dalla loro anni di esperienza, ma anche spirito di inventiva e la spregiudicatezza di osare, sempre. Cosa significa osare per un artigiano del presepe? Non certo la dilettantesca posa superficialmente dissacrante di chi infila, tra i pastori, una miniatura di Marek Hamšík. Significa piuttosto concepire un progetto organico in grado di disegnare un’interpretazione attualizzata, problematica e aperta, che sia specchio di un sistema valoriale condiviso da una comunità. Ecco così che i maestri artigiani della Lega hanno voluto far venire alla luce Nostro Signore all’ombra di conifere imbiancate, ai piedi delle amate cime alpine. Nella neve, fatta di farina, camminano pastori decisamente ariani, anzi, più che pastori sono allevatori a tutto tondo, al volante di trattori modellino Burago, con tanto di bandierine dei Cobas del latte. La mucca Ercolina, ovviamente, fa il bue. Ci sono stagni in Domopak, nel presepe di Menate, dove miniature di corvette militari puntano i loro cannoncini verso barchette fatte con i gusci delle noci, uno stuzzicadenti infilzato nella cera a fare da albero e un coriandolo bianco per vela. Sulla strada che attraversa l’abitato di Betlemme, un gazebo raccoglie firme per abrogare la legge Merlin, o perché i Tuareg se ne tornino a casa loro, non si capisce bene. Per arrivare ai dettagli più sorprendenti, grande cura è dedicata agli edifici, ricreati con tale realismo da lasciare a bocca aperta il più fine intenditore: casette verdi, con tanto di nani da giardino, tulipani nelle aiole, macadam di semi di sesamo a tracciare le stradine dagli usci ai cancelli. Cancelli sui quali è inchiodato il sacrosanto avvertimento: ATTENTI AL CANE (disegno di muso di molosso), AL PADRONE (immagine di revolver) E AL RESTO DELLA FAMIGLIA (coltelli, punteruoli, ecc.). Spesso seguito da un altro diffusissimo cartello: disegno di testimoni di Geova (di solito due uomini ingobbiti con libriccino) e scritta IN QUESTA CASA NON SIETE GRADITI, con il chiarimento in aggiunta, SIAMO UNA FAMIGLIA CATTOLICA. Al giorno d’oggi passino pure i cani e gli ebrei insomma, ma sulle altre minoranze il nazifascismo ha fatto anche cose buone. Giunti alla mangiatoia, però, abbiamo la vera chicca: i creatori del presepe di Menate hanno voluto strafare e hanno fatto un qualcosa di davvero stupefacente: il bimbo ha i lineamenti del Segretario, ma soprattutto è, arrossisco un po’ nel dirlo, decisamente dotato. L’intento encomiastico ha preso un po’ la mano degli artisti? Non solo, la scritta NO GENDER appesa al collo dell’asinello chiarisce tutto. I maschi sono maschi, altro che identità di genere fluida e balle varie. Il cielo di carta sopra il presepe si restringe in forma di un tronco di cono. Sulla superficie superiore del solido, una specie di paradiso terrestre completa l’opera. Ha le sembianze di un Valhalla, dal quale tracimano figure deformi di bevitori di birra, cornuti e armati di forconi e badili.
Fermo a braccia conserte davanti allo spettacolo del presepe di Menate riflette tra sé il signor Anselmo Paleari: “che succederebbe se uno strappo si aprisse d’improvviso nel cielo di carta del presepe? Facilissimo: le statuine resterebbero terribilmente sconcertate da quel buco nel cielo! Tenterebbero, certo, di proseguire le loro attività: discriminare, urlare, aggredire. Proverebbero a continuare a essere ciò che sempre sono state: razzisti, omofobi, bigotti. Ma si sentirebbero cadere le braccia, raggiunte dal dubbio. Tutte fisserebbero quel punto di rottura, in bambola.” Volta le spalle, Paleari, e se ne va. Ciabattando. Che disdetta! Scorda sempre il coltellino.

Il cantiere degli animali

Lo sventramento del piazzale della Stazione procede a pieno ritmo, ma una recinzione di rete rivestita da teloni in plastica verde ne cela le dimensioni ai passanti. In alcuni luoghi però, la curiosità degli anziani è stata così forte che sono stati creati decine di fori nella rete, attraverso i quali spingere la testa per affacciarsi su quello che, senza ombra di dubbio, è un cantiere davvero mastodontico, il sogno di ogni pensionato patito di lavori in corso. Emiliano B, naturalmente, non resiste alla tentazione di sporgersi approfittando di uno di questi buchi. Due nastri paralleli d’asfalto nerissimo tagliano cumuli di terra per andare a perdersi chissà dove nelle viscere della città, decine di mezzi cingolati manovrano e ingarbugliano i propri tragitti, portando a spasso nel fango, come formiche le loro briciole, pale gialle di ogni forma e dimensione immaginabile. Accatastati qua e là, pronti all’uso, travi, piloni, plinti e contrafforti in cemento armato. Una gru solleva quintali di materiale grigiastro con lo slancio e la leggerezza di un airone. “Ha visto quella gru?” chiede Emiliano a un tizio appena affacciatosi a un foro vicino che, da come strizza gli occhi per correggere la miopia, deve essere mezzo cieco, praticamente una talpa: “Non le ricorda un airone?” “Mah!” Fa il tizio: “Beh…” Indugia: “Non saprei. Lei dice un airone? Lo sa che quello là, quello dell’orango, dice che il premier assomiglia a un airone, per come gli riesce di cavarsela a saltelli, grazie a quelle lunghe zampe, sulla melma.” Mantenendola nell’apertura tonda della rete, B scuote la testa, vagamente consapevole del rischio di lacerarsi il collo con gli spuntoni rimasti dove i fili di metallo della recinzione sono stati tranciati. “No, non l’ho sentito. Sono rimasto alla storia dell’orango. Sa? Non è che le esternazioni di quello là siano il primo dei miei interessi… Certo che qui, tutti con la testa infilata qua dentro in questa maniera, sembriamo pronti per essere ghigliottinati. Non trova?” Sghignazza in un gorgoglio, mentre goccioline di saliva piovono sulle teste di un gruppo di operai che lavora di sotto: “Eh, proprio! Adesso zacchete! Restiamo qui a guardare la nostra zucca che rotola fin laggiù. Anzi, mi sa che non le vediamo mica. Certo che ne farei cadere di teste, oggi come oggi…” “Prego?” “Oh, la testa del ministro, quello che quello là dice assomigliare a una rana, per esempio, la voglio servita su un piatto d’argento con contorno di melanzane grigliate. Ma come si fa, dopo questa storia del favore al dittatore? Che poi ci assomiglia davvero, a una rana dico, il ministro… e poi anche la testa di quello là, chiedo, che personaggio… ma come si fa?” Emiliano ascolta lo sfogo dell’anziana talpa: “Ma vorrebbe proprio decapitarli fisicamente?” “Oh, certo che no, vede, io parlo per metafore, che vuole, sono un vecchio pacifico e pacifista…” “Trovo ammirevole, sa, la sua intenzione, ma mi pare un’utopia, non mi pare possibile decapitarli metaforicamente.” “Lei dice? Perché?” “Mi pare sia necessario,” spiega Emiliano: “Per decapitare un uomo, anche metaforicamente, che questi possieda una testa, seppur metaforica, da poter spicciare dal collo. E invece questi soggetti di cui lei parla, è del tutto evidente, sono privi di testa e quindi lei non la può chiedere come invece sta facendo ora a gran voce.”

Umberto Bossi, L’avversario

Il senatùr, in gioventù, ha organizzato per tre volte i festeggiamenti per tre diplomi mai conseguiti. Inoltre ha fatto credere alla prima moglie di essere un medico: tutte le mattine usciva di casa con una valigetta contenente camice e stetoscopio e se ne andava all’osteria. Un bel giorno la consorte scoprì l’inganno e chiese il divorzio. Questa edificante storiella è stata raccontata da Philippe Ridet su Le Monde (c’è una traduzione italiana su Internazionale del 13 aprile).

Nel romanzo L’avversario, uscito in Italia nel 2000 per i tipi di Einaudi, Emmanuel Carrère ricostruisce la pazzesca vicenda di Jean-Claude Romand, impostore francese che, dopo aver finto per diciotto anni di essere un medico, ha assassinato moglie, genitori e figli pur di non essere scoperto. Dal libro è stato tratto un film, uscito nel 2002, che vede Daniel Auteuil nei panni dell’impostore.

Chi avrà ispirato a Bossi l’idea del medico? Facciamo due conti: Bossi si separa nel 1982, dopo un matrimonio durato sette anni. Quindi deve aver iniziato a circolare in camice bianco alla fine degli anni 70. Romand fa fuori la famiglia nel 1993, dopo 18 anni di bugie. La sua carriera è iniziata intorno al 1975. Praticamente in contemporanea al senatùr. Umberto non può quindi sapere del francese.

Romand, poco prima di essere smascherato, spinto dalla vergogna, dal non poter più reggere lo sguardo di coloro che in lui avevano riposto fiducia, ha fatto una strage. Bossi invece ha iniziato a fondare movimenti autonomisti, quali l’«Unione Nord Occidentale Lombarda per l’Autonomia» e, proprio nel 1982, insieme a Maroni, la «Lega Autonomista Lombarda». Da queste prime sigle sarebbe germogliato il movimento che avrebbe portato il Trota a rastrellare 11000 voti nella mia città.

La morale è: meglio non raccontare troppe balle. Gli effetti sono imprevedibili e disastrosi.