Archivio | dicembre 2013

Proposta Virdis

Dagli appunti di E.S., giornalista, opinionista TV e, in una botta di vita, aspirante ideologo democratico.

Parliamoci chiaro: di fronte ai dati drammatici relativi alla disoccupazione giovanile nel Paese, più di un milione di senza lavoro tra i 18 e i 29 anni, un tasso di disoccupazione del 28%, urgono soluzioni drastiche. Il tempo delle chiacchiere è finito. Accantoniamo sterili discussioni sulla flessibilità in ingresso e in uscita, su contratti unici, defiscalizzazioni e blablabla. Ricette vecchie, bollite, buone solo per innescare i combattimenti tra pitbull nelle arene televisive: “Su chi punti? Su Landini o sulla Santanchè?” “Sulla Santanchè, Landini parte forte, ma finisce sempre che gli cascano gli occhiali e così le prende.” Lasciamo perdere, dicevo, le solite soluzioni e facciamo nostre le innovative proposte che vengono dal basso. Per carità, non troppo dal basso, non dai giovani disoccupati, perché se sono giovani e disoccupati hanno sicuramente qualcosa che non va, ma piuttosto da quella che potremmo definire “classe dirigente periferica o di piccolo cabotaggio”. Proprio in questi giorni, un mirabile suggerimento su come affrontare la piaga della disoccupazione giovanile ci viene dall’assessorato all’Istruzione del Comune di Brescia. Per ovviare alla cronica mancanza di fondi nelle scuole cittadine, ha previsto l’istituzione di un albo che raccolga la disponibilità di professionisti e insegnanti in pensione da utilizzare per supplire alla carenza di personale. Questi anziani in cattedra lavoreranno gratis e si occuperanno soprattutto di assistenza agli alunni stranieri. Gli anziani impiegati libereranno posti da fruitori di pensione, in maniera che gli under 30 possano trascorrere pigri pomeriggi al bar tracannando bianchini e giocando a briscola, affollare le tombole organizzate dalla circoscrizione, indossare le casacche arancio dell’AUSER per far attraversare la strada agli scolari, andare alle manifestazioni della CGIL. In questo modo le lunghe liste dei centri per l’impiego si alleggeriranno. La pregevole iniziativa del comune lombardo potrebbe, perché no, essere estesa ad altri territori e, con un intervento legislativo a livello nazionale, ad altri settori lavorativi pubblici e privati. In questo senso mi appello in particolare alla profonda sensibilità giovanile del probabile futuro premier Matteo Renzi e alla sua tendenza ad abbracciare qualunque causa nelle more di capire di cosa si tratti. Particolarmente fecondo, a parere dello scrivente, sarebbe l’utilizzo di anziani chirurghi in pensione, dalla mano fermissima e dalla vista di lince, per coprire i turni nelle sale operatorie dei nostri ospedali (dove potrebbero occuparsi, nel caso, solo dei pazienti stranieri). E che dire poi di tutti quei piloti ultraottantenni, ma dai riflessi ancora fulminei, che potrebbero essere reintegrati a gratis per condurre, sotto le feste, tutti quei voli supplementari diretti in Albania, Marocco, Tunisia o Moldavia? Inoltre alcune vecchie glorie potrebbero sostituire le onerose prestazioni dei giovani calciatori: chi non rivedrebbe bene il baffone di Pietro Paolo Virdis, magari al posto della crestina di Balotelli, al centro dell’attacco rossonero?

Cosa dite? C’è qualcosa che non torna? C’è un problema di reddito per i giovani? Non mi pare, non credo che i soldi siano un problema, per me.

Il mondo piccolo di Manolo Sgabazzi

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I

Beccarsi un malanno nei giorni di Natale è, ve lo assicuro, un’esperienza tremenda, sia sotto il profilo psicologico sia per la difficoltà nell’accesso a cure adeguate. Avete dubbi al riguardo? Vi chiedo di considerare allora quanto capitato a Manolo Sgabazzi, quarant’anni, impiegato, un matrimonio felice e benedetto da Sancta Romana Ecclesia, una bella famiglia numerosa. E una tonsillite batterica con placche che si manifesta in tutta la sua violenza il pomeriggio della Vigilia. Non vi sto ora a raccontare dell’improvvisa sordità al telefono della guardia medica: “Mi creda, dottore… mi… sento… morire.” “Molto bene grazie! Tanti auguri anche a lei, a tutta la sua famiglia, sono contento che vada tutto bene!” Non vi tedio con racconti di discese nell’imbuto del pronto soccorso, tortuose, infinite e dantesche, ma con incontri molto meno interessanti: “Signor Sgabazzi! Buon Natale! Com’è che non si fa mai vedere agli incontri dell’associazione di quartiere contro gli extracomunitari che girano liberamente per i nostri borghi? La aspettiamo, mi raccomando!” Non vi annoio con la descrizione di lunghe attese per una visita o di code estenuanti in farmacia. Fatto sta che, all’ora in cui in salotto la famiglia dà il via alle danze goderecce del cenone, Manolo si ritrova, con la febbre a quaranta e la sezione della gola ridotta a uno spillo, a dover ingoiare pasticche di antibiotico grandi quanto ossi di pesca. Mentre lacrime di dolore gli grondano sul petto scavato, spinge con tutta la forza l’Augmentin oltre l’ostacolo, poi crolla sotto le coperte con l’impressione, neppure troppo peregrina, che il pastiglione si sia incagliato appena lì in gola e che, di lì a poco, gli succederà qualcosa di brutto. Trascorrono ore prima che la sua splendida famiglia, tra un brindisi e l’altro, si ricordi di lui. In un momento imprecisato della notte, la moglie, per la verità un po’ brilla, socchiude la porta e gli allunga, con un calcio, una ciotola dove fuma brodo incandescente: “Tieni, mangia. Poi se vieni di là a ringraziare per i regali, che sennò fai sempre brutta figura, è meglio.” Sgabazzi si china e solleva la ciotola, si porta volenteroso un cucchiaio alla bocca e spinge giù il brodo come una medicina. Ma il liquido brucia e la gola prende fuoco. Manolo, privo di sensi, crolla sul letto rovesciando la sua parte di cenone sul pavimento. Ora vi chiedo di non censurare, ipocriti, il comportamento della signora Sgabazzi: chiunque, tra voi, avrebbe fatto altrettanto. Già, perché il Natale dove ci si occupa degli altri, dove si è tutti più buoni, non è mica per gente come noi, gente che lavora, si sbatte. A servire il pasto alla mensa profughi ci va il Ministro, mica l’operaio; a pranzo con i poveri ci vanno il Sindaco e l’attore, mica la commessa. Ci vanno le celebrità perché tra gli affamati, un giorno all’anno, è più facile sentirsi persone di cuore. Vere celebrità, ma di cuore.

II

La mattina del venticinque il nostro sfortunato Manolo riprende conoscenza in un bagno di sudore indotto dall’antipiretico. In effetti, a parte la gola, sulle cui condizioni è meglio sorvolare, le cose sembrano andare un po’ meglio. Sgabazzi riesce a leggere, per esempio, e a mettere insieme un qualche ragionamento. Si spara un reportage sulle condizioni di lavoro nei magazzini britannici di Amazon: i turni di lavoro massacranti, le paghe misere, i licenziamenti per chi si ammala più di tre volte in tre mesi, il silenzio dei dipendenti comprato con l’offerta fasulla di un posto fisso, la scelta strategica di insediarsi in aree economicamente depresse, dove è più facile ingaggiare dei disperati. Legge tutto a fondo, il nostro impiegatuccio, e poi prende una decisione solenne: “Mai più! Mai più! D’ora in poi comprerò solo nelle botteghe sotto casa.” All’ora comandata Manolo butta giù la pasticcona, poi crolla addormentato sino a quando Vasco, il figlio grande, apre la porta e gli lancia sul letto un trancio gommoso di pandoro: “Ha detto la mamma di darti la colazione.” Il pandoro non potrà mai passare dalla gola ingrossata e così il malato lo mette da parte e ripiega sui flaconcini di fermenti lattici. Sulla scatola campeggia una scritta: di origine UMANA. “Cazzo, che schifo!” Manolo non può trattenersi dal contrarre le labbra in una smorfia di disgusto: “Chissà da dove li prelevano, ‘sti fermenti.” E via, complice la febbre, nella testa di Sgabazzi vanno formandosi immagini assurde di disgraziati, ridotti dalla miseria a diventare donatori di fermenti lattici. Torme di anime perdute, affamate, degradate, che si fanno estrarre i fermenti per darli a lui, tranquillo borghese che si lamenta tanto per un po’ di mal di gola. Ma deve pur curarsi, e così con un risucchio secco Manolo svuota un flacone di fermenti di origine umana, poi si pulisce le labbra con il dorso della mano: “Mica male, però! Sono dolci”. Chiude gli occhi, in sala fervono i preparativi per il pranzo natalizio, ne sente i rumori. Realizza, Manolo, nel suo mondo piccolo di malato recluso in una stanza, che Marx aveva ragione, che il mondo è fatto di sfruttatori e di sfruttati e che lui, tutto sommato, preferisce stare tra i primi (quando gli è permesso, s’intende). Vuole continuare, insomma, a bersi i fermenti. Ma non si ferma a questo, Sgabazzi. Ripensa ad Amazon, ai turni da dieci ore e mezza, ai ventiquattro chilometri quotidiani macinati a piedi dai magazzinieri sottopagati. Pensa alla comodità di ordinare dal telefono, dal pc, in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora del giorno, qualsiasi cosa, per giunta scontata. Al piacere del pacco che ti arriva a casa, puntuale. Quel lavoraccio infame non gli appare più tanto male e i magazzini nelle foto che ha visto sulla rivista sembrano puliti e riscaldati. “Ma sì!”, pensa Manolo impugnando lo smartphone: “Un ordine solo, un ultimo ancora…”. Ordina Coetzee, L’infanzia di Gesù, ché con l’aiuto della buona letteratura è più facile sentirsi tra i giusti. Sfruttatori, ma giusti.

Governo ladro

La sbarra del passaggio a livello è abbassata da venticinque minuti ormai. La sbircio torvo attraverso il riquadro irregolare che, accanendomi selvaggiamente con la plastica di un cd, ho ricavato nella rosa di ghiaccio che ogni notte, ormai, si forma sul parabrezza. Le auto sostano incolonnate, quasi tutti tengono il motore acceso e la strada dei Martiri della Liberazione è un tripudio di gas di scarico che si addensa basso. La nube tossica che galleggia sull’asfalto congelato è un indicatore del livello di analfabetismo della popolazione. Evidentemente solo una persona ogni quattro è in grado di leggere il cartello che vieta la sosta a motore acceso. Oppure è un indicatore del livello di stronzaggine: “Che mi frega dell’ambiente, io c’ho freddo!” Non saprei. La sbarra non accenna a sollevarsi, il regionale per La Spezia del resto non è ancora passato. Oggi al lavoro arriverò in leggero ritardo e così i miei studenti sospireranno speranzosi dopo il suono della campana: “Dai che forse sta male! Dai che magari è grave!” Poi mi scorgeranno arrivare, dalla finestra mi guarderanno attraversare il piazzale di corsa con i libri e le bic in mano e i loro sogni di libertà crolleranno miseramente, le loro speranze si spegneranno sulle pagine del libro di storia. Sbarra maledetta, s’è mangiata tutto l’anticipo con cui parto al mattino, con la stessa implacabile naturalezza con cui il governo si pappa le nostre tredicesime. La sbarra sta giù, governo ladro. Un grassone salta giù da una Tipo verdone. Si avvicina, mi picchia sul vetro. Tiro giù: “Sì?” Lui mi strizza un occhio arrossato dal fumo della Marlboro stropicciata che schiaccia tra i denti chiazzati: “Quando c’era Lui non succedevano queste cose…” “Prego? Lui chi?” Il ciccione alza gli occhi al cielo: “Lui…” “Ah… vuole dire Dio?” “Già, quando c’era Lui i treni sì che passavano in orario.” Spingo il tasto per risollevare il vetro, per rinchiudermi nel mio bozzolo. La sbarra sta giù. Un Forcone mi assedia. Governo ladro. Passano altri dieci minuti. Parte un colpo di clacson isolato, poi qualcun altro risponde. Fino a che tutti suonano come dei pazzi furiosi. Si alza vibrante la voce della protesta, un urlo impotente, uno starnazzare vacuo. “A cosa volete che serva, questo baccano infernale che non infastidisce nessuno, se non noi stessi?” I timpani mi esplodono. Questo fracasso maledetto non scalfisce il potere. E la sbarra sta giù, ferma. Governo ladro. Ci sarà pure qualcuno qui, e ora, tra noi maledetti. Ci sarà pure qualcuno, dicevo, che si vuole organizzare. Ci sarà pure qualcuno che ci vuole provare, a vederci chiaro intendo, a guardare oltre le macerie del Novecento. Ci sarà pure qualcuno disposto a raccattare pietra su pietra le rovine della sinistra e a provare a rimetterle a posto. Disposto a fare la cosa più razionale, a provare a telefonare alla Stazione, ai Vigili, che ne so. Ci sarà pure qualcuno, ma anche se allungo il collo per scrutare meglio tra le volute di monossido di carbonio non trovo nessuno. Ci sarà, ma non riesco a vederlo. La sbarra è lì, immobile. Governo ladro. L’Italia è un passaggio a livello che non si alza.

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La mia squadra

l43-renzi-renzicalcio-131025022026_bigNon appena incoronato segretario da una moltitudine di elettori alla canna del gas, mi sono mosso per cercare uomini adatti a entrare nella segreteria e presentare così entro le 15 e 30 di oggi la Mia Squadra per cambiare. Nell’autonomia del mio incarico ho chiesto una mano a dodici collaboratori, sei donne, cinque uomini e un cane. Ma, bando alle ciance, veniamo ai nomi dei miei giocatori. Per accelerare il processo di rinnovamento ho scelto di stabilire gli uffici nella segreteria dell’Istituto Comprensivo sotto casa, già equipaggiati con telex e ciclostile e di ingaggiare in blocco le segretarie: Maria Rosa, che già si occupa di personale, al welfare, Anna Maria, l’economa, all’organizzazione, Maria Crocifissa alla giustizia e Maria Santissima agli enti locali. Quindi, sempre nell’ottica dell’ottimizzazione dei tempi, perché quando c’è da cambiare bisogna muoversi in fretta, mi sono infilato scarpini, pantaloncini e maglietta col 9 di Batistuta sulle spalle, e mi sono precipitato al NaturaSì. Lì avrei potuto fare un po’ di spesa e selezionare un altro paio di persone da schierare in mediana: economia e ambiente. Un uomo corpulento, giacca di panno così morbido da mettere voglia di tuffarcisi dentro ed elegante cappello di feltro a dargli l’aria da pensatore, spingeva un carrello stracolmo di confezioni di merendine alla barba di porro e farina di carrube con farcitura di marmellata di ficodindia, piccioli di melagrana e cioccolato. L’ho avvicinato subito: “Lei! Lei sì che fa girare il contante. Lei è l’uomo giusto per rilanciare i consumi!” E lui: “Ma lei, lei è… ma proprio lei! Non credo ai miei occhi, io l’ho votata ieri…” “E hai fatto bene, mo’ ti metto all’economia! Non hai mica una moglie, per caso, che abbia voglia di darci una mano, che sennò qui si torna all’inciucio?” Valuta la proposta per un istante: “Moglie no, però ho una mamma ancora arzilla.” “Una vecchia rimbambita? No grazie! Non va bene… La mia segreteria l’è la riscossa dei giovani, dei trent…quarant…cinqant…sessant… vabbè, la vecchia può andare all’ambiente.” La cassiera m’è sembrata una smart, una che, volendo, ti twitta con la destra e si strizza i punti neri con la sinistra : “Buonasera, ha la tessera? Grazie e arrivederci!” L’ho presa per il cartellino e l’ho nominata lì per lì: “Come ti relazioni bene, cara. Ti va un posto alla comunicazione?” Uscito di lì, per fare un po’ di quota azzurra, ho fatto visita a una stazione Esso. Il tipo dell’autolavaggio, che già si occupa di controllare che gli utenti si servano in maniera corretta di spazzole e aspiratori (e soprattutto che nessuno usi le lance self-service per lavare il motore), uomo di provato vigore morale, ha accettato di occuparsi di legalità e sud. Marione, quello che attacca lo spinotto del gas auto, ha accettato volentieri un incarico, a patto che si trattasse di riforme istituzionali, mentre Jalil, che da mesi sogna di trasferirsi in Germania, ha accettato di occuparsi di Europa e affari istituzionali: “Magari” ha detto spalancando gli occhietti fessurizzati dall’hashish: “Una qualche volta mi mandate all’estero!” All’Istruzione ci ho messo quel vecchio brontolone di Emiliano B, vecchio professore un po’ andato e su d’età, ma che almeno scrive un blog, come Lina, la blogger tunisina che insieme a Nelson Mandela costituisce il mio punto di riferimento politico. Infine la Chicca, il cane di Emiliano, come portavoce. Una che ha il mio stile, come dire spiccio e ficcante, nell’eloquio. Una che scende in campo e ha sempre voglia di correre dietro alle palline, voglia di fare insomma. Che magari funziona, politicamente, anche da contraltare a quel Dudù che il mio avversario schiera centravanti.

I soliti noti

La-vecchia-che-brucia-800x600La notte del giovedì di mezza Quaresima, nel bresciano, si brucia la vecchia. È un rito piuttosto antico: la gente festeggia a vin brulé, frittelle e lattughe, mentre tra gli schiamazzi i bambini si rincorrono intorno a un fantoccio antropomorfo che un carro ha deposto lì nei campi, il luogo scelto per il sacrificio. La vecchia incarna tutto ciò che si vuol dare alle fiamme: è donna, è vecchia, è curva, è malconcia, ha il naso adunco, gli occhi stralunati e feroci. Tiene tra le zampe una culla vuota, di legno, a simboleggiare la fertilità perduta. Ai piedi sformati sono infilzati zoccoli di legno. Veste certi gonnelloni e scialli colorati che ricordano quelli indossati dalle zingare che la domenica chiedono la carità fuori dalle chiese. Il suo destino è segnato: con un processo sommario celebrato seduta stante la si condanna al rogo, ad espiare la colpa di aver provocato ogni singolo danno registrato nell’annata agricola trascorsa. Presto le fiamme, appiccate da un Arlecchino infernale che porta un topo impagliato e una vipera tra i capelli, renderanno giustizia al popolo unito e giubilante. Tutti torneranno a casa euforici e i bambini tarderanno a prendere sonno, tanto il cuore è gonfio di gioia dopo il giorno della Vecchia, dopo il Vecchia-day, per dirla all’inglese o V-day, per fare prima. Tutti per una notte sono stati maschi, giovani, prestanti. Hanno tutti sfoggiato lineamenti delicati e uno sguardo fermo, ma compassionevole. E tutti hanno indossato l’abito buono e calzato scarpe morbide.

È un rito di purificazione, un modo per essere sicuri di liberarsi da ogni possibile contaminazione. Un modo per sentirsi maggioranza e scacciar via le paure accendendo la notte e scaldando l’ultimo inverno. Certo, è un rito che esclude, ma è comunque considerato piuttosto democratico, perché taglia fuori davvero poche persone, il V-day. Alla fine ci vanno anche un sacco di nonne, a vedere la vecchia che brucia, senza sentirsi chiamate in causa. Magari ecco, per sicurezza, trascorrono il pomeriggio dal parrucchiere e prima di uscire si affogano nel belletto.

Quelli che restano ai margini, poi, sono i soliti noti. Sono quelli che da sempre respingono le soluzioni più semplici, che non credono alle parole d’ordine, che rigettano i leaders, tutti i leaders, al mittente. Perché deve esistere qualcuno che li manda, così regolarmente, uno via l’altro. Gli esclusi dalla cerimonia del V-day sono quelli che non hanno bisogno di nemici, che non mandano, insomma, al rogo nessuna vecchia e che, a ragione, se ne vantano. Questo non significa certo che non siano partecipi dei problemi della comunità, o che addirittura gioiscano di quegli accadimenti così perniciosi per l’agricoltura che il popolo festante, là fuori, esorcizza sopprimendo un’innocente. Tutt’altro, sono consapevoli delle difficoltà e conoscono a fondo il dolore e la fatica del vivere con dignità.  Mentre là, nei campi, il fuoco avvolge la vecchia e il baccanale monta, i soliti noti festeggiano soli, e magari anche loro friggono dolci di Carnevale, solo più leggeri e profumati.