Archivio | giugno 2018

Del futuro delle anguille o dell’irresistibile ascesa di Matteo S

anguilla1

La quantità di cocaina disciolta nelle acque dei fiumi che attraversano le grandi città è così elevata da costituire una minaccia per la popolazione mondiale di anguille. La droga si accumula con rapidità nella pelle, nel cervello e soprattutto nei muscoli di questi pesci, danneggiandoli. La “cocaina passiva” risulta maggiormente nociva per questa specie animale, rispetto ad altre, perché si tratta di una specie migratoria i cui esemplari arrivano a compiere traversate lunghe fino a seimila chilometri, e devono quindi poter contare, per sopravvivere, sull’efficienza di formidabili muscoli. Un recente studio, coordinato da Anna Capaldo dell’Università Federico II di Napoli e condotto su esemplari di anguilla europea inseriti in vasche con acqua contaminata da coca, ha avuto esiti allarmanti, gettando nel panico le diverse comunità nazionali di anguille. Come spesso accade, quando le risorse, in questo caso le acque pulite, scarseggiano, gli istinti animali più bassi prendono il sopravvento e la ricerca di soluzioni condivise e sostenibili a livello globale subisce una battuta d’arresto, di fronte all’affermazione di forze che rappresentano e tutelano miopi interessi nazionali.

Emblematico ciò che si è verificato recentemente nelle acque italiane, dove la convinzione diffusa che il tasso di cocaina in acqua sia inferiore rispetto a quello di altri paesi, soprattutto africani, convinzione peraltro smentita da tutte le analisi chimiche effettuate, ha spinto le anguille dello stivale a compattarsi a difesa delle proprie acque territoriali. In questo contesto, alla guida della popolazione italica di anguille, si è affermato Matteo S, un giovane e spregiudicato capitone, tipico esemplare da acque dolci, quindi bruno sul dorso, giallastro ventralmente e dall’occhio piccolo. S, al quale è stato affidato a furor di popolo il titolo di Ministro delle acque interne, ha subito annunciato la chiusura dei delta e degli estuari, la sospensione dei trattati internazionali e l’immediato rimpatrio delle anguille residenti in Italia senza regolare autorizzazione, nonché la schedatura dei buratelli, sotto accusa per l’indecorosa abitudine di agganciarsi abusivamente al sistema idrico nazionale (e anche di rubare le uova dai nidi degli altri, ma sempre senza toccare l’argenteria). Le reazioni internazionali alle iniziative del Ministro non sono tardate, ma S ha saputo volgere a proprio vantaggio lo scetticismo che da mesi circonda le istituzioni sovranazionali, percepite dalle anguille come distanti e poco rappresentative. Ogni attacco dall’estero ha così fruttato in termini di incremento di popolarità per il Ministro, che secondo i sondaggi risulta ormai essere l’anguillona più amata e desiderata del Paese. Forte, deciso, sicuro di sé, S è oggi un leader indiscusso, ha saputo costruire alleanze per far fuori i nemici e poi sbarazzarsi degli alleati bevendoseli in un sorso. Ha inoltre stabilito il suo quartier generale presso il Naviglio Grande, a Milano, spostandolo dalla storica sede presso il Tevere, mostrando di non credere alle dicerie che vogliono i Navigli in testa alle classifiche europee di contaminazione da cocaina delle acque dolci. A qualche fedelissimo che, preoccupato, ha provato a metterlo in guardia, Matteo ha risposto con un secco: “Me ne frego!” mostrando in questo modo di non temere per nulla i danni da “cocaina passiva”.

Nella nuova sede milanese, il ministero è oggi un brulicare convulso di attività, dove anguille ciarliere si affannano in un continuo andirivieni, anguille insonni e infaticabili scordano la pausa pranzo, anguille libidinose consumano grandi quantità di miracolose pastiglie blu. Non stupisce che tanto attivismo produca un caleidoscopio di iniziative, davvero a tutto campo, annunciate a cadenza giornaliera da Matteo in persona: dopo i respingimenti di anguille immigrate e le minacce a un’anguilla un po’ troppo intellettuale che da sempre lo attacca politicamente, è l’ora della presa di posizione contro i vaccini, terapie tradizionalmente invise ai pesci, che temono più di ogni altra cosa l’acciaio appuntito.

Lettera di un figlio a un papà/ministro che lo tira sempre in ballo

aquarius

Caro papà,

ho notato che negli ultimi mesi, durante la campagna elettorale e, in misura anche maggiore, nelle tue prime dichiarazioni da ministro, parli spesso di me. È vero, di solito non ti riferisci a me direttamente, in effetti non mi dai in pasto alle tv e ai giornalisti come fanno certi genitori a caccia di notorietà, di questo, certo, non ti posso accusare. Tuttavia, non puoi negarlo, mi chiami in causa molto spesso quando ti riferisci al tuo essere genitore, al tuo essere un papà, proponendo questa condizione a premessa delle politiche che porti avanti. Il mio è un coinvolgimento indiretto, ma pur sempre compromettente, nel tuo discorso pubblico. Le tue politiche, infatti, sono mirate a costruire consenso elettorale sulla pelle di chi fugge dalla disperazione, a favorire la diffusione indiscriminata delle armi in nome di una concezione premoderna di legittima difesa, a cementare identità sulla discriminazione di chi crede che la famiglia e la genitorialità si fondino sull’amore, a escludere le fasce più deboli della popolazione da servizi pubblici essenziali, sollevando i cittadini più abbienti dal dovere di contribuire al benessere della comunità. Le tue idee, papà, sono abominevoli: prospettano un futuro dominato da un mostro che già si è affacciato sul palcoscenico della storia, un mostro che è stato condannato ma che, evidentemente, non è stato sconfitto. Quella che potremmo chiamare “retorica del buon papà” è uno degli strumenti che sfrutti per rendere accettabili le tue posizioni. Sei prima di tutto un genitore, vai ripetendo, e proprio in virtù di questa tua condizione puoi prospettare qualunque iniziativa possa favorire la tua personale affermazione, anche la più miserabile, la più infame. “Sono un papà,” sembri dire: “figuriamoci se posso volere il male di qualcuno”.

Ecco, papà, il motivo per cui ti scrivo questa lettera: ti chiedo di non tirarmi in ballo nei tuoi comizi, quando fai le tue comparsate nei salotti televisivi, quando rilasci dichiarazioni a caldo tra gli spintoni dei cronisti nell’agitarsi confuso di microfoni e taccuini. Sono un bambino, per definizione buono: non chiazzare il completino del Milan che mi hai regalato con la melma del tuo odio e vendi la tua, di dignità, al demone del successo. La mia ingenuità e la mia purezza, infatti, non sono valuta pregiata da investire nel mercato del potere. Sono un bambino, per definizione disobbediente: abbraccio chi viene da lontano e mi fido istintivamente di chi è diverso, mentre ho paura delle armi e non voglio intravedere il luccichio sinistro della canna di una pistola, quando per gioco o per curiosità apro un cassetto sbagliato. Sono un bambino, per definizione coraggioso, e nei miei occhi aperti e sfrontati c’è la sfida a chiunque ritenga accettabile che altri bambini come me subiscano violenza, dal vicino o dallo Stato, perché rom, perché figli di migranti, perché figli di due papà, o due mamme, o perché i genitori li hanno perduti, chissà dove, nel mare immenso tra due mondi o nel mare nero della vita – tu che sei papà, questo, lo capirai bene.