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La madre di tutte le bombe

moab

All’inaugurazione dell’ultramoderno centro culturale multimediale regionale è accorsa tutta la società elegante della città e l’atmosfera è frizzantina. Un tripudio di giacche e di cravatte, di barbe e di acconciature, di teleobiettivi e di iphone dove galleggia senza rotta il capitano dalla fascia tricolore con la sua ciurma di assessori, consiglieri e segretari. Strizzate di dita, pacche sulle spalle, baci. Arrivano gli ospiti, la regista della serata, gli attori, i critici, la moglie del poeta scomparso. Il sindaco le va incontro, lei è molto anziana e cammina a fatica, lui le porge il braccio con perizia teatrale e la conduce verso i gradini dell’ingresso: è uno che ci sa fare, tutti i suoi concittadini lo guardano con ammirazione. “Mica per niente è il Primo”, pensano, poi tornano a fissare lo schermo del telefono. Il sindaco, con un’abile mossa, si libera della vecchia che ora gli è diventata d’impiccio. Fa un cenno impaziente a un vigile in alta uniforme: “La prenda in consegna per dio, ché io ho ben altro da fare”. Questi, con il cinturone rosso e bianco, la coccarda e tutto infilza una sedia di plastica arancio sotto il sedere alla signora, quindi si produce in un disinvolto baciamano. Nell’inchino l’elmetto di ghisa gli scivola dal capo e va a frantumare il ginocchio dell’anziana signora con un secco crack. Il rumore improvviso mette in allarme gli astanti: chi controlla l’integrità della Canon, chi dell’asta da selfie. Un tipo particolarmente paranoico va a fare il giro dell’Audi che ha parcheggiato lì, proprio in faccia al nuovo centro, nel posto per i disabili: “Ehi, avete mica visto se qualcuno mi è venuto contro?” chiede a due anziane prostitute che gli rispondono con un gesto osceno. Ritorna quando il nastro è già stato tagliato, le forbici riposte sul piatto d’argento retto dalla vigilessa. Allora tutti dentro, a visitare gli spazi luminosi, le sale dedicate a ogni tipo di esigenza di consultazione e studio, un luogo adatto sia a quei ricercatori che amano il massaggio plantare mentre lavorano, sia a quelli che cercano una tisana ayurvedica in pausa pranzo.

Una conferenza sul poeta, durante la quale la vedova sommessamente piange (per il ginocchio, va bene, ma tutti pensano che sia per via del marito). I relatori hanno finito dopo venti minuti perché hanno calcolato male i tempi e così, invitati a proseguire, improvvisano dicendo delle cazzate a caso, ma tanto ormai tutta la sala è presa a farsi foto con il telefonino. L’unico attento è un jack russel in braccio a un tipo con i baffetti in terza fila. Discorsi di rito, assessore comunale, assessore regionale, sindaco. Mentre il Primo cittadino elogia i collaboratori e fa considerazioni sulla meritata mietitura che segue a una scrupolosa semina, dietro di lui, protetti da una paratia, gli addetti al catering allestiscono un sontuoso rinfresco. Il banchetto è celato alla vista, ma ormai tutti hanno capito cosa si vada preparando là dietro. La folla comincia a montare come zabaione sbattuto per bene, centinaia di ghiandole salivari sono già al lavoro, qualche colpo di tosse nervosa, nasi che fiutano l’aria, viste che si annebbiano. Qualcuno poco elegante bofonchia un: “Taglia!” Il sindaco capisce l’antifona: “…insomma, questo centro è una vera bomba di cultura per la nostra città! Grazie a tutti per l’attenzione. E ora, qui alle mie spalle, è stato allestito un piccolo rinfr…”

La folla è scattata, il tavolo dei relatori viene travolto, gli assessori vari, calpestati, urlano di dolore. Le cavallette si abbattono sui tavoli: tartine, pizzette, tramezzini e focacce vengono polverizzate da centinaia di bocche, gomitate, spintoni. Saltano tappi a ripetizione, decine di vuoti di bottiglie di prosecco si accumulano a terra contro una parete. Si vede di tutto. C’è uno, probabilmente un militare, che abbatte i rivali colpendoli con il calcio della rivoltella alla base della nuca. Una ragazza tatuata spruzza spray urticante per guadagnarsi spazio nella ressa. Un signore panciuto sulla sessantina si è buttato su un vassoio di pizza con tutto il corpo, urlando come un pazzo. Un intellettuale di sinistra, con gli occhiali e tutto, ha preso una bottiglia di vino dalle mani della cameriera e ci si è attaccato a canna. “Sa com’è, non vorrei sembrarle impaziente, ma lei ha solo due mani e noi qui siamo in tanti” le urla gorgogliando quando stacca la bocca dal collo della bottiglia. Una donna disperata, afferrata con due mani una grossa conca piena di patatine, ci ficca la testa dentro. Emerge dopo un po’, esultante, in estasi. Urla: “Che fame! Che fame che ho!” Il sindaco, intanto, a differenza dei suoi assessori, ha resistito alla carica. Ha anni di esperienza alle spalle e così, finito il discorso, ha mollato per terra il microfono e si è fatto trascinare dall’onda in direzione del cibo, arrivandoci per primo. Come i suoi cittadini, anzi, più di tutti loro, si è ingozzato fin quasi a morire. “Io,” pensa mentre si riempie la bocca a manate: “a differenza della plebaglia ho metodo, so cosa va via prima e mi ci fiondo, per poi passare alle pietanze che resistono di più sul vassoio.” Quando tutto è stato spazzolato c’è un attimo di smarrimento. Il sindaco, allora dà l’esempio: prima leccare le briciole da tutti i vassoi vuoti, poi attaccare direttamente le porcellane con le fauci. Proprio il Primo cittadino con i suoi dentoni frantuma piatti e vassoi e butta giù, imitato dagli astanti. Per le bevande, nel frattempo, è stato preso d’assalto un bar nelle vicinanze. La vetrina sfondata, la porta divelta. Cittadini se ne escono impugnando vini e gazzose, birre e liquori. Due metallari fanno rotolare sul selciato un fusto di Tennent’s.

Pochi minuti e tutto è finito. La folla inizia a defluire, sul pavimento del Centro culturale qualche cadavere e qualcuno che russa, sazio. Chi ciondola per la sala distrutta e si tiene il ventre con le mani, e qualche insaziabile a quattro zampe ancora rosicchia le gambe di tavoli e sedie. Il volto del sindaco è una  maschera di trionfo e di orgoglio, torna al microfono. Fatica a parlare, gli sanguina copiosamente la bocca per via delle porcellane. “Cari cittadini, elettori, ora… dopo la ehm… bomba di cultura, la madre di tutte le bombe!” Si carica con qualche smorfia, quindi, controllando con cura che il flusso di gas dallo stomaco sia potente ma costante, fa esplodere un rutto prodigioso, infinito, un urlo trionfale che manda in frantumi le grandi vetrate dell’ultramoderno Centro culturale e che viene registrato dai sismografi di tutto il nord Italia.